La sanità veneta è preparata e adeguatamente organizzata per affrontare l’eventuale comparsa di un caso di Ebola e, pur se l’eventualità è considerata abbastanza remota dalla comunità scientifica, nemmeno un possibilità infinitesimale viene trascurata. E’ questo l’obiettivo con il quale oggi, all’Ospedale Fracastoro di San Bonifacio dirigenti, medici, infermieri ed esperti del sistema salute del Veneto, si sono ritrovati, su iniziativa della Regione, per definire azioni, protocolli operativi e informativi, necessità alle quali ancora serve dare risposta.
“Siamo pronti ad ogni eventualità con uomini, mezzi e organizzazione – ha detto l’assessore regionale alla Sanità Luca Coletto – e vogliamo avvicinarci il più possibile al livello di prevenzione 100 e a quello di rischio zero. L’organizzazione è capillare e parte dal territorio fino ad arrivare ai reparti e alle strutture di massimo livello. Bisogna anche sgomberare il campo da una convinzione sbagliata, innescata dall’effetto mediatico mondiale che sta avendo questa vicenda: non siamo di fronte né ad un’epidemia, né tanto meno a una pandemia, ma a una situazione in evoluzione rispetto alla quale ogni sistema sanitario serio, e quello del Veneto lo è, ha l’obbligo di attivarsi senza allarmismi ma anche senza sottovalutazioni che potrebbero costare care, come si è visto in Usa”.
L’organizzazione delineata oggi, in parte già attiva dopo l’emanazione dello specifico Protocollo Regionale dell’1 settembre scorso, troverà totale attuazione in pochi giorni, appena dopo che la Regione invierà un aggiornamento approfondito, una sorta di Protocollo “parte seconda”, a tutte le Ullss e Aziende Ospedaliere.
Le procedure di sicurezza sono state ben definite sin dal livello territoriale: qualora un medico di medicina generale rilevasse in un suo paziente sintomi sospetti dovrà chiamare il 118, che invierà un’ambulanza attrezzata con personale specializzato; nei pronto soccorso, nella fase di triage, gli operatori dovranno porre la massima attenzione alla sintomatologia dei pazienti e alla loro provenienza (i Paesi realmente a rischio sono considerati dagli esperti la Sierra Leone, la Liberia, la Guinea Conacrì, da non confondere con la Guinea Bissau dove invece non c’è alcun problema), se del caso, chiamare immediatamente un infettivologo e, tenendosi a distanza di sicurezza (mino un metro, meglio 2), collocare il paziente in una camera isolata già operativa in ogni Pronto Soccorso. Sarà poi l’infettivologo ad effettuare una prima diagnosi e a decidere i percorsi successivi che, in caso di positività, porterebbero al trasporto e al ricovero allo Spallanzani o al Sacco. In nessun caso un malato con sintomi dubbi, che sia raccolto da un’ambulanza o che telefoni per chiedere aiuto, sarà fatto passare in aree frequentate da persone, come le sale d’attesa.