(di Matteo Zanon) Ieri sera in sala Ferrarini è stato ospite l’ex pallavolista campione del mondo Andrea Lucchetta. Intervistato da Alberto Cristani, giornalista della rivista SportdiPiù Magazine promotore della serata, ha raccontato la sua storia tra cambiamenti della pallavolo dei suoi tempi e quella di oggi, la sua evoluzione rappresentata in un cartone – “Spike team” e la serie “Super Spikeball” (6-11 anni) – dove attraverso la storia di una squadra di pallavolo con la sua figura di allenatore, vuole portare messaggio positivi ai giovani, in una sorta di a”smart coach” che li possa accompagnare nella vita e che li possa far innamorare sempre di più dello sport attraverso il gioco. “Giocare con la palla al meglio” è il concetto chiave che vuole trasmettere alle giovani generazioni.

In apertura di serata l’assessore allo cultura Claudia Barbera e l’assessore allo sport Andrea Zamperini hanno portato i loro saluti, ringraziando gli organizzatori di questa serata, il protagonista Lucchetta e i presenti tra allenatori, giovani sportivi e semplici curiosi di scoprire questo grande atleta che ha fatto la storia della pallavolo italiana. Le iniziative come queste, tra sport e cultura, ha precisato Barbera continueranno nei prossimi mesi per portare avanti questo connubio vincente. 

Nei racconti di Lucchetta, tra un tuffo nelle sue esperienze passate e racconti dei nuovi progetti messi in campo con il cartone, traspare la grande umanità di un grande campione che dopo aver vinto in lungo e in largo si mette a disposizione dei giovani per insegnare, con il sorriso e con il suo modo simpatico ma allo stesso tempo professionale, la pallavolo che, come ha sottolinato lui stesso, riesce a unire all’interno di un palazzetto tifosi e famiglie con molta inclusività e socialità. “Quando vado a giocare con i bambini nelle scuole o nelle piazze, non me ne dimentico uno e se per caso me lo dimentico torno a giocare con lui. In una scuola c’era un ragazzo disabile in carrozzina che la maestra l’aveva messo a guardare in disparte. L’ho chiamata e gli ho detto di portarlo qui davanti e gli ho dato la possibilità, abbassando la rete e aiutandolo nell’esecuzione del gesto, di fare anche lui una schiacciata. Quelle sensazioni e lo sguardo del bambino non me le dimenticherò mai”. Nelle puntate del cartone e della serie ha voluto abbracciare proprio tutti, dai bambini con disabilità a quelli con varie problematiche fisiche e mentali, dimostrando come attraverso il gioco tutto questo venga cancellato e tutti possano divertirsi assieme. 

La pallavolo è un gioco di squadra e proprio per questo deve essere unita e ogni singolo giocatore deve sentirsi parte di essa per dare il suo contribuito e per permettere alla squadra di esprimersi al meglio. All’interno di una puntata del cartone ha messo all’interno una del discorso che prende spunto da quello di Al Pacino nel film “ogni maledetta domenica”. Nel cartone, l’allenatore sottolinea come per fare gli ultimi centimetri che mancano per vincere, tutte le ragazze devono avere la forza di quella giocatrice, la tenacia dell’altra…un’unione che possa davvero dare quel centimetro che possa portarle al successo. Un concetto che da valore a ogni singolo giocatore e che premia l’unicità di ognuno. 

Oltre all’importanza della pallavolo vista come gioco di squadra, Lucchetta si sofferma sull’importanza di quella cultura sportiva che al giorno d’oggi viene spesso dimenticata dai campioni più osannati. “Quando vesti la maglia della nazionale rappresenti un movimento. Quale? quello dei tuoi genitori che hanno speso i soldi per permetterti di allenarti e hanno avuto fiducia in te, dei volontari che hanno dato una mano alla società, alla società che ti ha dato la possibilità di farti crescere, di chi ha gestito quel palazzetto. Quando mi allenavo salutavo da chi faceva le pulizie al custode perchè ogni singolo componente di questo percorso ha dato la possibilità a me di potermi allenare e di poter rappresentare come capitano della nazionale chiunque avesse incontrato il mio sguardo e il mio sorriso. Costa poco condividere lo sguardo e il sorriso. Costa ancora di più quando sei imbestialito e hai perso 3-0 e devi rimanere lì. Non te ne vai via dal pubblico”. Una cultura sportiva che deve portare messaggi positivi ai giovani e che non metta in evidenza solo il successo ma anche il percorso di crescita, le difficoltà di un ragazzo o di una squadra che nonostante abbia dato il massimo non riesce ad essere invincibile. “Si impara più da una sconfitta che da una vittoria” ha sottolineato e proprio per questo la sconfitta non deve passare come un fallimento ma come una possibilità per migliorare come squadra e come giocatore. 

In conclusione ha raccontato, spinto da alcune domande di una bambina, alcuni suoi aneddoti, come il suo passaggio dal tennis alla pallavolo e la sua pettinatura, particolare e unica. “Giocavo a tennis, basket, nuotavo e disintegravo biciclette. La creatività in strada è stata quella che mi ha portato alla ricerca del divertimento. Ho imparato a giocare a pallavolo a scuola con don Ermes e dallo smatch sono passato alla schiacciata. Grazie a un docente della scuola salesiana ho capito l’importanza di donare e lavorare per”. Conclude: “Mi sono fatto questo taglio perchè devo cercare di dare una spiegazione alla mia altezza. Un modo trasversale con cui cerco, da buon capitano di lungo corso, di affrontare in maniera trasversale le onde della vita e non a viso aperto. Un taglio di vita, il taglio di un capitano”.