Roberto Dall’Oca è stato confermato ieri al primo turno sindaco di Villafranca con 8.784 voti di preferenza, pari al 56,84% dei voti validi. Dall’Oca ha incassato oltre duecento voti in più rispetto alla sua coalizione che si è fermata a 8.570 voti. Così, diventa interessante vedere a distanza di cinque anni come sono trasmigrati i voti all’interno delle coalizioni e quanto sono migliorati o peggiorati i partiti e le liste civiche più consolidate. La grafica mette insieme le coalizioni delle ultime due elezioni amministrative ricostruendole sulla base delle maggioranze sorte nel 2023.

Questo l’andamento del voto negli ultimi dieci anni per affluenza

Partiamo proprio dalla coalizione che ha sostenuto Roberto Dall’Oca: cinque anni fa aveva incassato autonomamente 9.370 voti, pari al 63,43% dei suffragi. A questo dato va aggiunto però quello dell’allora candidato Ennio Chiaramonte che è transitato quest’anno col Popolo della famiglia nelle liste collegate al sindaco. In tutto faceva poco meno di 10mila voti, 9.903 per l’esattezza che quest’anno sono però calati a 8.570, mille333 voti che mancano all’appello e che sono confluiti, ragionevolmente, nella coalizione di Mario Faccioli. A crescere nella coalizione è Fratelli d’Italia – che incorpora i candidati di Villafranca Domani (area Gasparato) e l’ex consigliere comunale dei Cinquestelle – che sale da 1.221 a 2.869 voti; facendo la tara di Villafranca Domani vuol dire che il richiamo di Giorgia Meloni ha funzionato per un migliaio buono di elettori. Voti sottratti essenzialmente alla Lega (che scende dai 2.837 voti del 2018 ai 1.905 del 2023) ed a Forza Italia. Chi appare più stabile è la civica Insieme si può che quest’anno è stata affiancata da Futura (per risultato, la migliore lista dei giovani di tutte le amministrative scaligere): unite (almeno come area ideale) nel 2018 con 2.113 voti cinque anni dopo ne incassano 2.342, incrementando il bottino di duecento elettori.

Mario Faccioli, secondo per risultati, ha un gradimento personale superiore di 400 voti a quello delle sue liste: 3.413 contro 3.090. I suoi voti li ha presi nel centrodestra e fra i cinquestelle rimasti orfani di una candidatura propria che, sostanzialmente, non hanno appoggiato il candidato “naturale” Matteo Melotti. Faccioli è il deus-ex-machina della sua coalizione che ha fagocitato al proprio interno la lista di Lino Massagrande, più che dimezzata. Un elettore su sette della coalizione 2018 di Dall’Oca ha seguito Faccioli: voti del centrodestra che, ragionevolmente, rientreranno a casa abbastanza facilmente già il prossimo anno con le elezioni europee.

Matteo Melotti avrebbe dovuto incassare le preferenze di quanti erano stufi o insoddisfatti di quindici anni di amministrazione ininterrotta Faccioli-Dall’Oca. Partiva da una base di oltre 3mila500 voti del 2018 frutto di quanto realizzato da M5S e Sinistra allora. Il risultato – nonostante la verve mostrata e una campagna elettorale equilibrata, di buon senso, inclusiva – non è stato pari alle attese della vigilia: l’elettorato pentastellato soltanto in parte lo ha seguito, portandosi più su Faccioli come detto poc’anzi. E a poco è servita la “ripresina” dell’area PD in crescita rispetto a cinque anni fa.

Anche nel suo caso, il profilo personale – 3.257 preferenze – premia più della somma delle due liste a lui collegate. Se doveva essere una prova generale per le prossime amministrative – quando non ci sarà un sindaco da riconfermare, ma tutti i candidati partiranno “alla pari” – significa che la strada per intercettare i voti dei delusi del centrodestra è possibile, ma per nulla facile. L’elettorato villafranchese sembra molto coeso attorno ai conservatori, “istituzionali” o “rivoluzionari” che siano.