Nella profonda Bassa, al confine fra le province di Verona e di Mantova, nella fertile campagna di Gazzo, vive Vanni Stoppato, “fieramente contadino”, come ama definirsi, ma oggi anche imprenditore. Uno di quelli che hanno pensato bene di prendere il prodotto della terra, di lavorarlo, di confezionarlo e di commercializzarlo. Duro lavoro e spirito imprenditoriale.

Alla base la sana cultura contadina del nord-est, di cui è un testimone vivente. Quella cultura che mette al centro la famiglia, il lavoro e la patria, intendendo per patria tutto quello che riguarda la ‘terra dei padri’. Che non è solo la terra, ma l’educazione, i principi, la socialità, il senso della comunità. Vanni Stoppato è una persona solida. Per carattere non usa tanti giri di parole quando deve dirti qualcosa, per cui è facile parlare con lui.  La sua è una storia di lavoro e di impresa.

«La mia più grande passione è il mio lavoro – esordisce dopo un giro per la sua azienda-. Sono fieramente contadino e porto avanti la tradizione di famiglia. Il mio bisnonno, bracciante agricolo da generazioni, decise di lavorare autonomamente sperimentando tecniche allora innovative – si parla del 1887 – e ben presto riuscì a moltiplicare i raccolti e a far crescere la propria azienda allevando i suoi 7 figli. Mio nonno e mio padre proseguirono su quella strada. Poi sono arrivato io».

L’agricoltura della Bassa è molto diversa da quella dell’altra parte della provincia veronese, quella collinare, dove ormai la vite la fa da padrona. Questa è zona di seminativi…

«Esatto. Con i miei tre figli e mia moglie Angela – racconta Stoppato- conduciamo un’azienda agricola che produce riso, mais, soia, colza, piselli, fagioli e fagiolini, pomodori, pop-corn. Abbiamo inoltre dei terreni con pioppeti. Eseguiamo anche lavorazioni per altre aziende agricole: dall’aratura alla raccolta, movimento terra e posa drenaggi grazie alle attrezzature di precisione e al know-how acquisito negli anni. Un’azienda della nostra famiglia si occupa esclusivamente di coltivazione con il metodo biologico. In via sperimentale è stato piantumato un oliveto per testare diverse varietà».

Il biologico nella Bassa

Oggi si parla molto di ‘biologico’. E’ possibile oggi coltivare realmente con questo metodo e poi immettere i prodotti sul mercato?

Si, è possibile ma diciamo è una lotta sempre più difficile.Prima di tutto la   coltivazione deve osservare delle imposizioni europee che poco hanno a che vedere con il disciplinare: rotazioni ed obbligo di incolto tolgono e di molto il già esiguo reddito che raggiungiamo dopo un anno. Poi penso alla nostra gente che va a fare la spesa e trova dei prezzi improponibili, mentre a noi viene riconosciuto poco più che un’elemosina.

Spesso mi chiedo chi me lo fa fare, anche perché la rappresentanza di fronte alla distribuzione organizzata è inesistente. 

Com’è avvenuto il passaggio dalla coltivazione alla produzione artigianale?

«I miei tre figli dieci anni fa hanno deciso di intraprendere l’attività di selezione e confezionamento, utilizzando le materie prime che coltiviamo. In questo modo si riesce a dare un valore aggiunto ai raccolti delle nostre aziende agricole e ad esportare un po’ di quel Made in Italy tanto apprezzato. Proprio in questi giorni stiamo partecipando allo Speciality Food Festival di Dubai».

Lei non è certo un ragazzino. Ma sul suo marchio ‘Stoppato1887’ c’è una data che evidentemente è molto precedente al momento in cui avete deciso di industrializzare l’azienda. Cosa significa 1887?

«Abbiamo scelto per la nostra azienda, ‘Stoppato1887’, per ricordare l’anno in cui tutto ebbe inizio grazie al nostro trisavolo. Un modo per rimarcare come alla base del nostro lavoro c’è la famiglia. Famiglia intesa in senso lato, pensando anche a quelli che non ci sono più, ma senza i quali ci saremmo neanche noi! La cultura contadina e la tradizione insegnano proprio questo: l’uomo, come il prodotto della terra, è l’anello di una lunga catena che non bisogna mai spezzare. Niente viene dal nulla. E’ un grave errore pensare all’individuo senza collegarlo con tutto il contesto sociale. E’ la famiglia la base della società».

Il lavoro è la sua grande passione. Ma molto volte il lavoro dei campi non ha la considerazione che merita. E’ d’accordo?

«Per molti il nostro è un lavoro di serie B. Non viene valorizzato. Ma noi ci crediamo, anzi siamo convinti che sia il lavoro più bello. La gente dà importanza ad altre cose. E purtroppo anche la politica. Non si rendono conto che se l’agricoltura è definita il settore ‘primario’ fra quelli economici un motivo pure ci sarà. E sa qual è? E’ che se non si coltivano i campi e non vengono portati sul mercato i prodotti della terra, non si mangia. E si diventa schiavi di altri popoli. Spesso chi di dovere se lo dimentica. Settore primario significa che viene prima degli altri. Che dev’essere tutelato perché serve per la vita».

Che i prodotti dell’agricoltura dovrebbero far parte del ‘made in Italy’ , tanto che l’Italia è famosa nel mondo per la qualità del suo cibo. Adesso abbiamo un ‘Ministero del Made in Italy’. Si occupa di promuovere e di difendere anche i prodotti del mondo agricolo questo ministero?

«Il prodotto italiano è apprezzato in tutto il mondo senza dubbio. Tutti sappiamo che l’agricoltura deve sottostare a rigidi disciplinari che spesso altri paesi europei non si sono imposti. Uno su tutti, la battaglia che da sempre sostengo è quella degli Ogm. Da noi è vietata la coltivazione mentre è possibile commercializzare ed utilizzare prodotti Ogm, per esempio nei mangimi. Da anni siamo costretti a svendere il nostro grano per effetto di un mercato che ignora l’origine delle merci: ciò che arriva per esempio dal Canada o da altri paesi che utilizzano il glifosato per essiccare il grano prima di trebbiarlo, finisce per creare prima di tutto danni alla salute, e poi al nostro settore.

Per quel che riguarda la politica sarò breve: i responsabili, partendo dal ministero, dovrebbero ascoltare gli agricoltori e non le lobbies ed i vari comitati d’affari. Sono troppe le cose che non vanno bene e penso che di questo passo la mia categoria non tarderà a farsi sentire. Lo dico e non lo nego, se non cambia ci sentiranno».