Borsa e vino: Giovanni Agnelli – nella foto, che possedeva una quota significativa di Château Margaux nel Medoc – sosteneva che gli investimenti nel vino erano i migliori possibili: “Mal che vada, ce li possiamo bere!”. Alla vigilia del Vinitaly, L’Adige è andato a verificare quanto di vero c’è in questo joke dell’Avvocato.

L’annus “quasi” horribilis per il vino italiano

Il 2024 non si presenta col solito vento in poppa per il vino italiano. Il riscaldamento globale – che porta all’innalzamento naturale delle gradazioni ed  al prolungamento delle stagioni calde meno propizie per il consumo dei vini rossi – e la mancata comunicazione alle nuovissime generazioni hanno portato ad un calo dei consumi come non s’era mai visto in passato. Il vino diventa sempre di più un bene destinato a baby boomers e millenials, mentre le più giovani generazioni appaiono interessate a soft drinks, a contenuti salutistici, alla riduzione del grado alcolico (o sua assenza, nonostante i non lusinghieri risultati nel bicchiere) oppure passano direttamente agli spirits.

La produzione italiana è calata nel 2023 a 38 milioni di ettolitri (meno 23% sul 2022) per un fatturato complessivo di 13,8 miliardi  di cui 7,8 (pari a 21,4 milioni di ettolitri) collocati all’estero.

Ma a realizzare questo fatturato sono 241mila imprese viticole e 33mila aziende vinificatrici. Appena 255 sono le società di capitali nel mondo del vino con un fatturato superiore ai 20 milioni€ e realizzano ricavi totali per 10,7 miliardi, praticamente 8 euro su 10 ricavati dal vino italiano finiscono in questo ristretto club. Ogni impresa viticola gestisce poco meno di 3 ettari a testa.

Insomma, troppe aziende e poca vigna “pro capite” per reggere un mercato che cambia. Da qui il via una campagna di acquisizioni per arrivare a campioni nazionali in grado di imporre un nuovo Pinot grigio, un nuovo Prosecco, una nuova storia al mercato per rivitalizzare il settore.

Vino, la corsa ai capitali

Sinora a farla da padrone sono stati i finanziamenti europei (che hanno rimborsato a piè di lista ogni operazione commerciale al di fuori dell’Unione) e i finanziamenti bancari sostenuti da terreni e scorte più affinamenti. Andava benissimo coi tassi bassi e col mercato in espansione, due elementi che non ci sono più o almeno non ci sono nelle condizioni che conoscevamo qualche semestre fa.

Ci sarebbe il mercato dei capitali, la ricerca di soci finanziatori con la quotazione in Borsa,  ma questa strada è stata percorsa in Italia da poche realtà – due nella sola Verona –  e i risultati non sono stati spesso all’altezza delle aspettative.

Vinitaly, colossi USA irraggiungibili

Soprattutto, siamo lontanissimi – per dimensioni – dai colossi mondiali del settore: Constellation Brands, che in Italia possiede Ruffino (ma anche Kim Crawford, icona neozelandese, e Robert Mondavi, cantina che ha dato il via all’epopea californiana), ha una capitalizzazione di borsa pari a 48 miliardi di dollari.

Campari, che è il campione italiano del beverage, ha una capitalizzazione di Borsa di 11,1 miliardi € e ha conquistato questa posizione grazie ad una campagna di acquisizioni iniziata nel 2003 con Sella & Mosca, proseguita poi con Riccadonna, Teruzzi & Puthod, Champagne Lallier, Baron de Rotschild Distribuzione per finire col numero uno dell’e-commerce italiano del vino, Tannico, rilevato insieme a Moët Hennessy del polo LMVH, ovvero il numero uno del lusso francese che possiede Moet et Chandon e decine di brand di assoluto rilievo nel mondo.

Attenzione: tanto Constellation Brands che Campari che le altre big blue del settore non vendono soltanto vino. Vendono spirits, superalcolici, e birre; Campari ha tutta la componente mixology e gi aperitivi non alcolici, e questo mix sta consentendo di salvaguardare bilanci e dividendi.

Le quotate italiane

Il segmento è in verità davvero ristretto: a Piazza Affari troviamo Campari, Compagnia dei Caraibi, Gambero Rosso (non produce vino, ma contenuti informativi sul settore), Italian Wine Brands, Longino e Cardenal (colosso nella distribuzione all’horeca internazionali dell’agroalimentare di alta qualità) e Masi Agricola.

Le società indicate da Mediobanca e Pambianco come candidate ideali per la quotazione – come Santa Margherita della famiglia Marzotto già alla guida della quotata Zignago Vetro – per il momento stanno alla finestra.

Campari, dal cocktail all’e-commerce

In settimana l’attesa assemblea di bilancio per i dati 2023 che daranno nuovi strumenti agli analisti. Dicevamo, 11,1 miliardi di capitalizzazione borsistica, flottante pari al 43,99% del capitale. La performance a un anno è negativa (meno 20% all’incirca), ma le vendite (2,6 miliardi€ in tutto il mondo) sono trainate da Aperol, Campari, dagli spirits e dal mixology che vede Campari nel cocktail leader del mercato (il Negroni) e l’Aperol Spritz da 11.mo a sesto cocktail richiesto nel mondo nel volgere di pochi anni.

Quest’anno si sconterà la ritirata dell’e-commerce che dopo il boom per il Covid sta assestandosi su livelli di  crescita organica più corretti, ma che resterà strategico nell’engagement dei nuovi consumatori. Tannico, in questo, ha una posizione leader in Italia e Francia e consegne in 23 paesi del mondo: 4,5 milioni le bottiglie spedite.

Compagnia dei Caraibi, otto ettari in Piemonte

Con 10,4 milioni di capitalizzazione, ha una percentuale di free float del 23,32%. La società controlla il 100% di Right Beer che colloca birre artigianali, il 6.02% di Champagne Frerejieat Freres e il 75% di Have Fun, cantina di otto ettari nel Cuneese che realizza vini sotto il brand “Drink wines not labels”. Fra le partecipazioni il 100% di The Elephant Gin (brand tedesco di tendenza sul quale pesa un’azione di rivalsa nei confronti dei soci pre-esistenti) e il 10% della messicana Tequila La Dama de Cristal. Fra gli eventi societari significativi l’accordo col colosso USA Brown Forman (a Verona ha posseduto per qualche anno Bolla) per la distribuzione in esclusiva dei gin Mare, Diplomatico e Fords.

La performance a un anno resta fortemente negativa, meno 83%. Cda per il bilancio 2023 fissato a fine aprile. Budget atteso sui 26 milioni€.

Gambero Rosso, scende la pubblicità salgono le partnership

Capitalizzazione di borsa per 6,4 milioni €, quota flottante 17,3% delle azioni. La capogruppo ha fatturato 18 milioni nel 2023 – il bilancio è stato approvato dal CDA a fine marzo e verrà approvato dai soci il prossimo 28 aprile in seconda convocazione  – che sono ripartiti nella componente editoriale (2.1 milioni in leggero calo per la contrazione del mercato pubblicitario), negli eventi (7.7 milioni, in crescita), nei ricavi tv e digital (4.4 milioni, in calo, col contratto con Sky in prorogatio sino a fine anno), nella formazione (un milione) e nelle partnership (cresciute del 30% a 2,3 milioni).

L’utile netto (800 milioni contro i mille600 del precedente esercizio viene portato a riserva). Non risultano scambi sul titolo.

Italian Wine Brands, acquisita commerciale negli USA

Ecco la prima realtà veronese nata da Enoitalia della famiglia Pizzolo (oggi primo azionista col 14,8% del capitale). 181 milioni€ di capitalizzazione borsistica e flottante significativo del 77,99%. Il progetto era mettere insieme parte produttiva e commerciale innovativa – l’altro partner iniziale era Giordano Vini, leader nella vendita per corrispondenza – e procedere con un piano vasto di acquisizioni sia di cantine di pregio sia di realtà distributive nel mercato statunitense.

Oggi il gruppo – 429 milioni di fatturato – raggruppa Giordano Vini S.p.A., Provinco Italia S.p.A., Enoitalia S.p.A, Enovation Brands Inc. a Miami, Barbanera s.r.l. e Fossalto s.r.l. Su base annua la performance del titolo è negativa (meno 17% circa) ma nell’ultimo mese è significativo il rimbalzo (più 8 punti).

Masi Agricola, la forza sta nel territorio

Ha fatto parlare di sé più per la controversia con l’azionista Red Circle di Renzo Rosso che per i suoi risultati di bilancio, ma la cantina del fondatore del Ripasso e primo promoter dell’Amarone nel mondo, Sandro Boscaini, resta non soltanto una cantina iconica, ma un titolo dal forte potenziale.

Paga lo scotto dello scarso flottante – poco meno del 9% col nocciolo duro nella famiglia Boscaini e nella Fondazione Enpaia – che rendono il titolo da cassettista e non da speculatore, ma i fondamentali sono ottimi per zone di produzione – Valpolicella classica, Prosecco DOCG, Argentina -, per allargamento del business all’accoglienza e per gli accordi commerciali negli USA (dove si appoggia a Santa Margherita USA con base a Miami) dove è l’unico Valpolicella in portfolio.

Nonostante la querelle societaria con Renzo Rosso, il titolo ha guadagnato in un anno l’11% pagando nell’ultimo mese l’offerta di recesso ad un prezzo inferiore a quello di Borsa.

Longino & Cardenal, in portafoglio l’80% degli chef stellati

16,8 milioni di capitalizzazione di Borsa, flottante al 22% e ricavi per circa 36 milioni che realizza in 4mila500 clienti nel mondo dove sono presenti tutte le principali catene horeca e l’80% dei ristoranti stellati. L’80% dei ricavi in Italia, il resto negli USA, Hong Kong e a Dubai. Controlla il 76% del Satiro Danzante di Mazara del Vallo (TP) leader nella lavorazione del tonno rosso e dei suoi derivati. Ha avviato una propria società di e-commerce e la sua performance è stata negativa su base annua, meno 5%, ma con una fortissima accelerazione nell’ultimo semestre, più 40%.